VIAREGGIO
Sono sopravvissute, letteralmente, a una morte che sembrava scritta, e hanno trovato ascolto, e rifugio, tra le stanze e le braccia di altre donne. Stanze, le loro che, spesso, potrebbero raccontare storie di violenze, segregazione e dolore tremendo. E storie, quelle di moltissime donne che da lontano, per salvarsi, arrivano qua, e che, da qua, allo stesso modo, se ne vanno lontano. Portando con sé le paure e le conseguenze, economiche, fisiche e morali, che quelle violenze, psicologiche, fische ed economiche, hanno lasciato loro.
Nei loro sguardi e pensieri, di quelle donne, 190, che, da gennaio fino ad oggi, dai vari comuni della Versilia, in primis Viareggio, con una percentuale del 41%, si sono rivolte alla Casa delle Donne e al centro antiviolenze. Con un numero di donne che, secondo i dati, denunciano di più e che, dunque, rispetto agli anni passati, sono più fiduciose nell’azione legale, purtroppo spesso denigrante, e minimizzante, rispetto alla sofferenza e violenza subita dalle vittime, alla ricerca invece, urgente e obbligata, di una nuova casa, un nuovo lavoro, e una nuova vita. Vita che per tante diviene un vero e proprio isolamento nelle case di emergenza, in attesa di una casa rifugio il più lontano possibile dalla zona di violenza e, per tutte, molte (il 76%) con a carico figli e figlie, un tentativo di ricominciare, tra case rifugio e seconde case di accoglienza, che permettono loro di riavviarsi, con l’aiuto delle operatrici, al mondo del lavoro, con tirocini e stage. Alla ricerca di un’autonomia e autodeterminazione che la Casa delle Donne e il centro antiviolenza, grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, ha contribuito ad avviare, con un bando di 50mila euro "che ci ha dato possibilità di attivare tirocini, 5 per le donne delle case rifugio, e anche di iscrivere alcune di loro a scuola guida – racconta Lara Turrini, referente per le case rifugio –; Cassa di Risparmio ha inoltre finanziato corsi di formazione, come hccp e oss, che stiamo avviando con le donne ospiti".
Perché, se è proprio dal lavoro, e un’indipendenza economica, che può derivare un’indipendenza totale, è proprio una carenza economica quella che risulta dai dati del centro violenza del territorio e dallo sportello per l’orientamento lavorativo. Un 80% delle donne si trova difatti ancora in una situazione lavorativa problematica, e quelle occupate, spesso, lo sono con orari part time chenon danno la base e la possibilità di pagare un affitto, gestire la casa e i figli. E un elemento che si riversa anche sul piano legale e l’assistenza che il centro stesso offre per completare il progetto. "Per quanto riguarda i reati di violenza per aspetti penali, è gratuito il patrocinio che lo Stato riconosce in maniera automatica a prescindere dal reddito – racconta Federica Lucchesi, avvocata, garante della rete D.i.re e vicepresidente della Casa delle Donne – ma per gli aspetti civili, non prevede l’ammissione al gratuito patrocinio, ma segue reddito, e spesso le donne, anche se scorporate dal convivente, non lo sono da altre persone del nucleo familiare. E non rientrano nel beneficio, così come chi ha una soglia, bassa, di 12 mila euro annui".
"Emerge così la necessità di una rete di lavoro maggiore, perché le donne hanno bisogno di supporto, dalle corsie preferenziali all’emergenza abitativa: una donna che riceve 800 euro al mese non può sostenere le spese di 700 euro di affitto – sottolinea Elisa Petrini, referente per il centro antiviolenza – e per questo servono progetti di fuoriuscita dalla violenza, fatti in comunione l’uno con l’altro". Progetti come quello attivato con la regione Toscana, con tre step, dal formativo, con corsi gratuiti e voucher, ai tirocini e all’assunzione agevolata che, in una rete, formativa e professionale, cerca di offrire loro una possibilità di andare oltre. Oltre la violenza, la paura, e l’ignoranza.
Gaia Parrini