Il 29 novembre 1924, allora era sabato, Giacomo Puccini cessò di vivere a Bruxelles, dove si trovava ricoverato nella clinica del dottor Buys Ledoux, in Avenue de la Couronne, per una cura di applicazioni di radio al tumore che gli era stato diagnosticato alla gola. Il dottor Bayer, che con Ledoux aveva iniziato la cura, dichiarò che “il Maestro è mancato per debolezza del cuore che ha mal sopportato l’energica azione del radio, necessaria come tentativo ultimo di prolungare un’esistenza minata dal cancro”. Le grandi celebrazioni del centenario si avvicinano sempre più.
A Bruxelles le esequie funebri furono celebrate il 1° dicembre in forma solenne dal Nunzio Apostolico Micara nella chiesa di Sainte-Marie. Sempre a Bruxelles, il Teatro reale De La Monnaie commemorò Puccini con la rappresentazione fuori programma della “Bohème”. Al centro della scena fu deposta una grande corona di fiori e prima dell’inizio dell’opera il direttore del teatro ricordò con un commosso discorso la grande figura artistica di Giacomo Puccini. Viareggio seppe della disgrazia da Angelo Magrini, che aveva accompagnato l’illustre amico in quel suo ultimo viaggio, e che inviò immediatamente al sindaco, ingegner Luigi Leonzi, questo telegramma: “Angustiato comunico morte grande Maestro avvenuta ore 11,30”. Il sindaco spedì subito alla famiglia Puccini il seguente messaggio: “Cittadinanza Viareggio piange oggi con voi immatura irreparabile perdita grande concittadino”. Tutti i giornali pubblicarono, in prima pagina, a caratteri cubitali la notizia. Il Sunday Times scrisse che la morte di Giacomo Puccini “é una grande perdita per l’Opera moderna perché pochi compositori sanno oggi darci una vera melodia”, “La Nazione” titolò la prima pagina: “L’Arte e la Patria in gramaglie”. Per volontà della famiglia fu decisa la provvisoria sepoltura a Milano, nella tomba di famiglia dell’amico Arturo Toscanini, il monumento funebre opera dello scultore Leonardo Bistolfi. Così, il 2 dicembre, alle ore 17, il direttissimo che trasportava la bara di Giacomo Puccini, avvolta nel tricolore, e accompagnata dai figli Antonio e Fosca, dalla signora Toscanini e da altri intimi giunse a Milano. La bara fu trasferita nella chiesa di San Fedele, ammantata a lutto, e disposta su un imponente catafalco intorno al quale ardevano 200 ceri. Il giorno dopo, alle ore 6,30, dalla chiesa di San Fedele dove era stata vegliata tutta la notte, la bara fu trasferita nel Duomo e disposta su un catafalco di velluto nero a frange d’oro, gli stessi paramenti che servirono per la cerimonia funebre di Vittorio Emanuele II, dove si svolse la solenne cerimonia funebre. Poi, con un interminabile corteo, la carrozza con il feretro, dopo essere passata davanti alla Scala, giunse al Cimitero Monumentale. La bara sorretta a spalla fu trasportata nel Famedio, poi dopo un breve rito funebre, accompagnata dai parenti e dagli amici più intimi, fu sistemata nella cappella Toscanini. Due anni dopo, il 29 novembre 1926, i resti di Puccini furono accolti nel mausoleo che il figlio aveva fatto costruire nella casa di Torre del Lago, dopo una solenne cerimonia funebre e dopo una toccante orazione pronunciata da Pietro Mascagni. Una folla enorme partecipò commossa e stupita. Nessuno voleva ancora credere che il “sor Giacomo” fosse definitivamente scomparso. Giacomo Puccini era ritornato “alla sua casa, in riva al lago, fra le sue creature“, secondo il desiderio profondo del Maestro.
Paolo Fornaciari