Un lavoro complesso quello della Procura di Lucca, per ricostruire anche attraverso il supporto di consulenze tecniche, cos’è accaduto la sera tra l’8 e il 9 settembre scorso. Per comprendere ciò che hanno raccontato le telecamere di sorveglianza puntate sull’ultimo tratto di via Coppino, dove l’imprenditrice balneare Cinzia Dal Pino a bordo del suo Mercedes Bianco ha travolto e ucciso Noureddine Mazgui. L’uomo che aveva riconosciuto come lo stesso che pochi istanti prima, quando la donna era uscita dal ristorante dopo aver trascorso la serata in compagnia degli amici, le era piombato in auto e le aveva rubato la borsetta.
Per riprendersela Dal Pino ha inseguito con l’auto Noureddine, che a passo svelto si era allontanato verso il mare, per circa duecento metri. Il resto è fissato in un filmato di un minuto e venti secondi, che riprende il Suv infierire per quattro volte contro l’uomo e l’agonia di Noureddine. Lasciato morire su un marciapiedi, in una sera di pioggia. Per Dal Pino, finita agli arresti domiciliari, l’accusa è di omicidio volontario. Da confermare, o modificherà, a seconda dell’esito degli accertamenti tecnici.
Nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero Sara Polino – che attende la relazione del medico legale Stefano Pierotti che ha svolto l’autopsia sul corpo di Noureddine, dalla quale è emerso che la morte dell’uomo sarebbe sopraggiunta per lesioni viscerali multiple ma che non ci fu soverchiamento – ha infatti dato incarico all’ingegner Fabio Bernardini di Massa che, anche dall’esame della scatola nera del Suv, e attraverso la comparazione con le immagini della videosorveglianza, dovrà ricostruire la dinamica dell’impatto. E dunque stabilire la velocità, la forza, l’intenzione con cui l’auto di Dal Pino ha colpito Noureddine, fino ad infrangere la vetrina della ditta nautica Cantalupi. Per le parti, l’avvocato Enrico Marzaduri a difesa di Dal Pino – che durante l’interrogatorio di garanzia ha sostenuto "di non voler uccidere", ma solo "bloccare" l’uomo che l’aveva derubata – , e Enrico Carboni, a tutela delle persone lese, hanno nominato i rispettivi tecnici di parte.
E intanto da Casablanca i familiari di Noureddine – la cui salma nel frattempo è tornata in Marocco, la sua terra d’origine, dov’è stata sepolta – seguono costantemente l’evolversi della vicenda, proprio attraverso l’avvocato Carboni. Il legale che ha conosciuto Nourredine quando per eludere agli ordini di rimpatrio si era presentato, nel suo studio e alle forze dell’ordine, come Said dall’Algeria.
Sono una grande famiglia i Mezgui: Noureddine era infatti il quinto di otto tra fratelli e sorelle. La più grande oggi ha 63 anni, la più piccola invece 42. E lui, nato l’11 giugno del 1972, è stato l’unico a lasciare il Paese d’origine, una ventina di anni fa, per cercare un Eden in Italia. Che, però, non ha trovato.
Nour, come lo chiama chi l’ha visto crescere a Casablanca, qui è sopravvissuto. Finendo per vivere di niente, di elemosina e qualche piccolo reato, senza permesso di soggiorno e dunque senza un lavoro né una casa. Da lontano i Mezgui, ognuno con la sua vita, un lavoro, dei figli, hanno seguito le vicende di quel fratello che hanno visto partire ragazzo. Non sempre hanno condiviso le sue scelte, talvolta hanno insistito per riaverlo a casa. Ma comunque, da lontano, hanno provato a restargli vicino. E forse resta anche il rimpianto di non aver insistito abbastanza, e di averlo potuto rivedere quando ormai era troppo tardi per un abbraccio. Così da lontano, oggi, ogni giorno, chiedono giustizia, confidando nelle istituzioni italiane, per quel fratello "Ucciso come un animale".