di Maria Nudi
Si porta il lavoro “mentalmente“ a casa, perché la professione di medico lo assorbe anche nei momenti di pausa. E in quei momenti riflette su come organizzare il lavoro del giorno dopo. Ha deciso di abbracciare la professione medica quando era un ragazzo e a distanza di tanti anni Michele Palomba, ora alla guida dell’unità operativa complessa di ortopedia e traumatologia del Versilia, ha realizzato il suo progetto professionale che coincide con quel sogno che aveva nel cassetto.
"Se tornassi indietro farei senza alcun dubbio il percorso che ho fatto; se non fossi stato convinto o non mi fosse piaciuto avrei smesso", racconta a La Nazione che lo ha intervistato.
Il carattere schivo lascia trapelare grande professionalità sorretta dalla passione per la medicina e dalla convizione che il lavoro di squadra e di équipe premia. Convinzione testimoniata di recente dai dati evidenziati a Roma dall’agenzia nazionale per i servizi regionali (Agenas) che valutando 1.363 ospedali italiani ha sottolineato il risultato del Versilia, che nel 2023 ha registrato una delle migliori performance nazionali per la frattura del collo del femore operata entro le 48 ore.
Michele Palomba, marito di Maria Cristina, anche lei medico, padre di Maria Gabriella che sta facendo il master biennale in ingegneria aerospaziale, si racconta a cuore aperto.
Quando ha scelto la professione medica?
"Nella mia famiglia, sono di origine pugliese, Taranto, ci sono due filoni professionali: medici o giudici. Ho scelto il primo. E mi sento toscano di adozione, anzi dico sempre che la Toscana mi ha adottato. Ho studiato medicina all’Università di Pisa".
Specializzazione ortopedia e traumatologia, perché?
"È stato un grande amore: mi affascinava e mi affascina ancora unire alla conoscenza medica la maestria delle mani, e allora ho scelto questa specializzazione".
Quando conta oggi l’elemento tecnologico, i robot, nella medicina?
"Tecnologia e robot sono importanti. È necessario comprendere che la tecnologia è un percorso inesorabile che coinvolge il mondo e tutti i settori, quindi non si può ignorare. Ma se assimiliano l’arte medica alla robotica e alla tecnologia, allora è una cosa diversa".
Guida uno staff: come valuta il lavoro in equipe?
"Lavorare in staff conta molto per gli stimoli che la collaborazione offre a tutti noi: nasce dalla consapevolezza di cosa possiamo fare tutti insieme. Nel nostro settore non possiamo garantire in questo momento sogni, ma possiamo lavorare bene tutti insieme e questo dà un significato alla nostra professione. La collaborazione è il collante che rende migliore il nostro lavoro e il successo di uno diventa il successo di tutti".
In questo momento si stanno registrando aggressioni ai medici e al personale sanitario. Cosa pensa?
"Dal 1999, quando lavoravo al Tabarracci, e poi al Versilia ho vissuto anche io alcune situazioni conflittuali. Ho sempre parlato con pazienti e famiglie. La nostra regione per fortuna, rispetto alle altre dove sono accaduti episodi gravi, ha uno scenario diverso. Bisogna capire le difficoltà che vivono i medici e comprendere le difficoltà delle famiglie davanti alla malattia. La militarizzazione dei pronti soccorsi non credo che sia un deterrente. Gli ospedali sono ospedali, luoghi di cura".
In tanti anni di professione avrà un ricordo particolare?
"Ricordo tanti episodi soprattutto legati alla perdita di un paziente. Episodi che fanno riflettere e insegnano. Ho incontrato anche persone che dopo 10 anni da un intervento mi hanno detto “sto bene“. È importante capire che quando una persona subisce un trauma ortopedico in pochi minuti gli cambia la vita".
Cosa ama fare nel tempo libero quando non pensa agli impegni del giorno dopo?
"In questo periodo torno spesso in Puglia dove c’è mia madre e ripercorro la mia infanzia e il percorso delle mie radici".