Un mondo, quello degli ultimi tre anni, messo a soqquadro. Pandemie, crisi climatiche e guerre che eravamo abituati a vedere nei film, sono diventati una triste realtà. Realtà in cui, a pagare il prezzo più caro, sono gli adolescenti, vittime di un universo adulto incapace di educarli, come racconta lo psicoterapeuta esperto in disagio giovanile Emanuele Palagi.
Dottor PalagI, C’è stato un boom di richieste di aiuto da parte di giovanissimi. Come interpreta questo fenomeno?
"Le richieste non corrispondono necessariamente all’aumentare del disagio. Può essere, anzi, un dato positivo, perché significa che c’è una maggiore consapevolezza della possibilità di cura e rispetto al passato si chiede aiuto più frequentemente. Il Covid ha cambiato un po’ la percezione della salute mentale: prima, andare dallo psicologo portava con sé un’etichetta negativa, oggi questo succede meno. Gli adolescenti, in particolare, si sono resi conto che la pandemia ha lasciato un segno, soprattutto sui disturbi d’ansia e sugli aspetti depressivi. L’adolescenza è l’età del gruppo ma la quarantena ha tolto la possibilità della relazione e dell’esposizione ad essa. Sono aumentate una serie di possibili manifestazioni, ma è aumentata anche l’esposizione della salute mentale e le conseguenti richieste di aiuto".
Quanto impatto ha sui giovani la paura del futuro?
"La nostra è una società con una dose depressiva. Il futuro, come dice Umberto Galimberti, non è percepito dalle nuove generazioni come una promessa, ma come una minaccia. Questo modifica inevitabilmente la nostra speranza per il futuro. Spesso chiediamo ai nostri figli di avere passioni e di impegnarsi nella vita, ma passiamo loro il messaggio che il futuro sarà una catastrofe. C’è poi un’altra questione importante, al centro del mio libro “Guida all’adolescenza. Il futuro di tuo figlio non sarà un disastro” in uscita a fine gennaio: tracciare una linea di demarcazione tra cos’è un disturbo e cosa non lo è. Troppo spesso quando si parla di adolescenza se ne parla in termini di disturbo, ma è l’età dei sintomi mobili, non delle sindromi. Appaiono sintomi che poi si spostano, svaniscono, perché è la fase più difficile della vita. Ci viene chiesto di uscire dall’età dei figli ed entrare nel mondo dei pari, e di farlo senza istruzioni. Proprio per questo sono necessarie, mai come in questo momento storico, voci esperte sul disagio giovanile".
Un uso scorretto dei media e di abuso di alcolici vige spesso tra i giovanissimi. Che ruolo hanno in questo le famiglie?
"L’utilizzo scorretto dei media è una normale conseguenza della pessima educazione che, come genitori, abbiamo fatto. Chiediamo agli adolescenti di avere un uso responsabile dei media, quando diamo loro, a tre anni, un cellulare per farli mangiare tranquilli. Cosa simile accade per il tema dell’alcol: è da sempre un argomento trattato con leggerezza, suggerendo immagini positive legate al consumo e alla convivialità. C’è una cattiva educazione anche al bere e un non rispetto delle regole, perché un minore non può comprare alcolici, ma qualcuno glieli vende. È un problema complessivo, perché gli adolescenti fanno il loro mestiere, con gli strumenti che hanno. Sono gli adulti che, a volte, non lo fanno. I ragazzi spesso sono una vittima di un mondo adulto non così adeguato. Si grida al disturbo senza prendersi la responsabilità dell’educazione. Forse dovremmo cambiare questo approccio. Gli adolescenti non chiedono diagnosi e allarmismo, ma supporto, sostegno, fiducia".
Gaia Parrini