È un pomeriggio festivo di aprile. Qualche tiepido raggio di sole spunta dalla coltre di nubi che è tornata a sovrastare la Versilia dopo i fasti estivi di inizio mese. Migliaia di persone si sono riversate sulla costa e si stanno godendo una placida camminata sul molo: coppie di anziani con l’andatura lenta, ragazzi in tuta e sneakers, famiglie coi bambini e i cani al seguito. La vista spazia dal mare alle Apuane, l’udito è cullato dal gorgoglio ritmico delle onde. Solo l’olfatto stona con il contesto: arrivati all’altezza dello scoglio di Tito, di fronte alla statua "L’Attesa", l’aria è pervasa dall’aroma dolciastro dell’hashish che sovrasta il salmastro. Seduti sugli scogli ci sono quattro o cinque giovanissimi, col cappuccio in testa e gli occhiali da sole. E la sigaretta che passa da una mano all’altra.
Senza voler cadere preda di grida moralistiche – di ragazzini che fumano stupefacenti ce ne sono oggi come ce n’erano ieri – quel che colpisce è la totale assenza di privacy. Si fuma in pieno giorno, in mezzo alla gente. E allora, collegando i vari fili, viene da ripensare al tema di stretta attualità della gestione della tarda adolescenza, alla luce della galassia di fatta di movida violenta, scontri e devastazione che ha riempito le cronache delle ultime settimane. L’ultimo episodio è di qualche sera fa, quando un noto locale della Darsena sarebbe stato preso d’assalto da un gruppo di giovanissimi. Con la mente lucida, ad oggi pare prematuro parlare di bande organizzate, le famigerate ’baby gang’ che da tempo seminano il panico nelle grandi città.
A Viareggio e in Versilia, sussurra chi in questo campo ci lavora, la situazione non è così grave. Ad oggi, non ci sarebbero gruppi che agiscono con il chiaro obiettivo di portare il caos e cercare lo scontro. Piuttosto, le situazioni al limite delle ultime settimane in varie località della costa sarebbero il risultato di un insieme di fattori – un "disagio" di fondo, per prendere in prestito il titolo di un saggio sull’adolescenza dello psicologo e psicoterapeuta Emanuele Palagi – che si sostanzia anche nell’abuso di alcol e sostanze stupefacenti, da cui la disinibizione tradotta (anche) in comportamenti violenti.
I poli di aggregazione di questa gioventù inquieta sono noti: in centro, i ragazzi bazzicano da piazza d’Azeglio, dove alcuni figuri in bicicletta li riforniscono di sostanze, alla passeggiata al moletto, per poi ingannare il tempo in alcuni – sempre i soliti – bar tutt’altro che fuori mano. E di sera sciamano nei luoghi della movida, dove troppo spesso – almeno nelle ultime settimana – la vitalità e l’energia trascendono nello scontro e nel caos. tanto da aver spinto alcuni locali della Darsena a chiedere aiuto al prefetto e al questore.
Ma è proprio necessario che la gioventù – non tutta, sia chiaro, ché generalizzare è sempre un errore – affoghi il suo disagio nelle sostanze? "L’adolescenza è l’età del gruppo – ha spiegato qualche giorno fa lo psicoterapeuta Palagi al teatro Jenco – è sempre quello che influenza". Inoltre, come ha ricordato più volte nell’ambito del suo lavoro sulle sfide che i giovani di oggi si trovano ad affrontare, nel loro periodo di "rivoluzione" i ragazzi "hanno vissuto l’esperienza della pandemia, con il dramma della sottrazione della relazione, in una fase in cui il gruppo è fondamentale anche per lo sviluppo della propria identità". Fonti di enorme disagio, dunque, in un’età già di per sé delicata. Che a volte, nel peggiore dei casi, si traducono in atteggiamenti che sfociano nella violenza, una componente che "fa parte dlel’uomo e in adolescenza, sospinta da dinamiche di gruppo, può arrivare a livelli drammatici".
Gli scontri delle ultime sere in varie zone della Versilia sono lì a testimoniarlo. Anche se, per fortuna, ad oggi la violenza dei ragazzi della nostra zona non sembra ancora essere diventata uno scopo preciso. Come succede, invece, per le baby gang delle grandi città.
RedViar