Le difese degli imputati prenderanno la parola nella prossima udienza, fissata per il 18 dicembre. Spiegheranno alla Suprema Corte le ragioni che li hanno spinti a presentare i ricorsi (18 in tutto quelli in discussione) in Cassazione. Ricorsi che hanno fatto storcere il naso ai familiari delle vittime, togliendo loro il sonno. E questo perché si torna a rievocare il rischio prescrizione che cancellerebbe con un colpo di spugna oltre 14 anni di sofferenza e 10 di attività processuale. E’ chiaro che ci si muove su un terreno minato, sull’interpretazione delle norme più che sulle norme stesse. In base alle quali, nel giudizio di merito di primo e secondo grado, gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli. A iniziare dal top manager delle Ferrovie dell’epoca, Mauro Moretti e del suo braccio destro Michele Mario Elia.
Ma le loro difese, sostenute dall’avvocato Ambra Giovine, ritengono che anche l’ultimo reato rimasto in capo agli imputati, il disastro ferroviario colposo sia già andato, pure questo in prescrizione. Nei loro ricorsi evidenziano il principio base secondo cui un reato colposo non possa avere un tempo di durata maggiore rispetto a un reato doloso. E contestano pertanto la norma che prevede il raddoppio dei termini di prescrizione di alcuni reati, fra i quali il disastro ferroviario colposo. Secondo le difese degli imputati in questo modo è stato leso il principio di uguaglianza di fronte alla legge e il principio di offensività del reato. Di qui la richiesta di un rinvio alla Corte Costituzionale che però al riguardo si è già espressa sostenendo che può essere previsto un termine di prescrizione analogo per i reati colposi e dolosi nel caso in cui si rispetti la discrezionalità del legislatore. Legislatore che fra l’altro introdusse il raddoppio dei termini di prescrizioni proprio per evitare che grandi processi come appunto questo della strage di Viareggio possano finire in un nulla di fatto. Proprio come temono i familiari delle vittime. E su questo aspetto l’avvocato di parte civile Tiziano Nicoletti è stato chiaro: "Questo processo deve finire. Il principio della ragionevole durata di un processo vale per gli imputati, ma anche e soprattutto per i familiari delle vittime. La parola fine deve essere scritta senza rinvii ulteriori in Appello o alla Corte Costituzionale".