Una storia lunga centosettanta anni. Da un atto di devozione al folclore

Viareggio, tra fuoco e tradizioni antiche: storia di incendi e festività legate al culto mariano. Epidemie e miracoli nel 1854. La fede e la tradizione si affievoliscono, rischiando di perdersi.

Una storia lunga centosettanta anni. Da un atto di devozione al folclore

Viareggio, tra fuoco e tradizioni antiche: storia di incendi e festività legate al culto mariano. Epidemie e miracoli nel 1854. La fede e la tradizione si affievoliscono, rischiando di perdersi.

VIAREGGIO

Il fuoco è un elemento ricorrente nella storia di Viareggio: le fiamme si levarono dal rogo che il 16 agosto 1822 arse i resti mortali di Shelley; un incendio nella notte fra il 17 e 18 ottobre 1917 incenerì buona parte delle strutture lignee della Passeggiata; una colonna di acqua e fuoco il 7 dicembre 1930 distrusse, al lago della Manica, la nave Artiglio; il fuoco il 29 giugno 1960 distrusse, in fondo a via Cairoli, i capannoni del Carnevale, infine sempre il 29 giugno del 2009 un’esplosione nei pressi della stazione ferroviaria aprì una ferita insanabile che causò 32 vittime.

Ma il fuoco è anche manifestazione d’esultanza e di festa che ha tradizioni antiche nella storia di Viareggio: già intorno alla seconda metà del Seicento si facevano falò per celebrare S. Antonio da Padova, patrono della comunità. Poi c’è la festa che dal 1854 infiamma le strade di Viareggio e che nasce come momento di ringraziamento collettivo per “grazia ricevuta”. Diventata patrimonio culturale della città. Come necessaria premessa bisogna ricordare che nel 1837 Zaverio Cardinali, membro di un’antica famiglia marinara, per onorare il voto fatto alla Vergine per avergli salvato la vita nel naufragio della tartana “Madonna di Montenero”, fece erigere vicino al ponte di Pisa, un piccolo tabernacolo dedicato alla Madonna Bambina, che divenne luogo di venerazione e di culto.

Nella nostra storia s’inseriscono le gravi epidemie che in quegli anni imperversarono. Fra le più gravi fu quella del luglio 1854, che diffuse il colera in quasi tutta la Toscana, portato da un bastimento approdato nel porto di Livorno e che colpì con virulenza anche la nostra città. I contagiati dal morbo furono ricoverati nel piccolo ospedale di San Giuseppe, realizzato nel 1853 dalla trasformazione del lazzaretto, che si trovava sul canale Burlamacca. Per Viareggio fu un momento drammatico, la mortalità, in mancanza di dati ufficiali, può essere stimata in circa 500 decessi. In questo frangente si distinsero il curato di S. Antonio, padre Angelico Bargellini, padre Antonio Pucci, il “Curatino” e suor Giuliana Lenci, che si prodigarono a rischio della vita nell’assistere i malati.

Mentre l’epidemia infuriava, la popolazione decise di chiedere un aiuto celeste. Nei giorni di settembre che precedevano la festa della natività della Madonna, padre Pucci invitò i fedeli intorno al tabernacolo, a pregare la Vergine affinché si realizzasse un miracolo. L’epidemia improvvisamente cessò e per quanti avevano fede questo era un miracolo avvenuto grazie all’intercessione della Madonna. Così, la sera del 7 settembre de 1854, Viareggio si riunì intorno al tabernacolo per ringraziare la Vergine, pregando e celebrando la festa con fuochi e baldorie di gioia che illuminarono la notte. Da allora, tutti gli anni Viareggio alza al cielo lingue di fuoco, forse meno alimentate da spirito devozionale, ma ancora testimonianza di un attaccamento alla tradizione che ogni anno però sembra farsi più flebile, col rischio crescente che anche la storia alla fine si disperda in un pugno di cenere.

Paolo Fornaciari