di Gaia Parrini
VIAREGGIO
È sempre alla ricerca, di trame, monumenti o targhe che le raccontino uno spaccato di vita e di storia, Camilla Zucchi, laureata prima in Lettere Classiche, poi in Filologia e in Informatica Umanistica, e ora dottoranda in Digital Public History all’Università di Salerno. In una ricerca che possa essere utile, e d’interesse pubblico. E in una ricerca in cui, Camilla, è, senz’altro, una delle eccellenze del nostro territorio.
Camilla, cosa l’ha spinta a prendere tre lauree e un dottorato?
"Non c’è una motivazione precisa, ma sono sempre stata convinta dell’utilità delle scienze umanistiche e, dunque, di poter dare un contributo utile e pratico alla professione delle scienze umanistiche".
È sempre stata studiosa anche a scuola?
"Mi piaceva, ma non ero eccellente. C’erano persone molto più brave di me, ma, come mi dico sempre, probabilmente la mia ambizione ha superato il mio talento".
E la passione per la ricerca, com’è nata?
"L’ho sviluppata all’università. Il primo anno, in triennale, mi sono resa conto che un contributo alla ricerca volevo darlo. Il mondo della ricerca, però, è vario e difficile, e dopo la prima magistrale, ho provato il dottorato ma senza riscontro. Così ho deciso di prendermi un’altra laurea e ho fatto un salto nel buio con Informatica Umanistica, consigliata da persone che mi dicevano che era un settore in espansione. E c’avevano visto bene. Dopo quella, ho capito che davvero la ricerca era la mia vocazione primaria, e da lì ho vinto il dottorato in Storia".
Perché da Lettere a Informatica?
"Non è l’informatica pura, anche se in quello che ho studiato c’era anche quella. Ma è un’ottica diversa di vedere le discipline umanistiche. Oggi sarebbe impossibile fare ricerca di storia, filologia, papirologia o filosofia senza una minima conoscenza dell’informatica. Che significa usare metodi quantitativi, saper fare analisi di dati e digitalizzare le fonti. È un percorso alternativo rispetto a quello tradizionale, ma oggi sempre più urgente...".
Come può essere utile l’informatica alle discipline umanistiche?
"Il digital turn è difficile nelle materie umanistiche perché ci sono puristi molto legati al loro metodo, ma è urgente e necessario. Ad esempio, cercare quali sono i nomi di eroi e martiri politici più presenti sul territorio italiano, sottoforma di monumenti, targhe e toponomastica, che è lo scopo della mia tesi di dottorato, senza una conoscenza di dati e di come analizzarli, sarebbe impossibile. E mi sono resa conto, inoltre, studiando Informatica Umanistica, che la filologia è bella, ma manca del raccordo con il presente. Invece, con la public history, si può essere interessante per qualcuno, anche oltre gli addetti ai lavori. E trovo che sia molto più utile".
E qual è il modo per esserlo?
"Organizzando incontri, convegni, al di fuori dei circuiti accademici, in maniera divulgativa, in maniera da poter essere di impatto pubblico e far ascoltare, a quel pubblico, qualcosa che può interessare. Come i convegni sul Carnevale, che danno un’ottica sulla storia d’Italia: quello è un modo per fare public history".
A proposito di Carnevale, quanto riflette la città, e viceversa?
"Il rapporto tra Viareggio e il Carnevale è stretto. Può esserci Viareggio senza Carnevale ma non il Carnevale senza Viareggio, perché Viareggio è il modello di tutti i Carnevali, repubblicani, d’Italia, del secondo dopoguerra. E a Viareggio, il Carnevale, è come una religione. Poi c’è chi è praticante, e chi meno".
Tra gli incontri e i convegni tenuti, ce n’è uno che ricorda in maniera speciale?
"Senz’altro quelli sul Carnevale. Ma soprattutto l’intervento dell’anno passato a Siena sulle mafie nei social network, e l’approdo in Rai per questa ricerca".
La prossima ricerca, invece?
"Ricostruire tracce, monumenti e architettura del fascismo in Italia, e come la memoria collettiva ha reagito alle presenze ingombranti, durante la prima Repubblica, la seconda ed oggi. Una ricerca già in avvio con l’Istituto storico della Resistenza di Lucca".
Qual è la cosa, del suo lavoro, che l’appaga di più?
"I feedback di me stessa, perché sono la giudice più severa. Mi sento tranquilla e soddisfatta solo quando lo dico io. Poi avere un riscontro, sapere che una certa cosa interessa".
La sua aspirazione massima?
"Diventare professoressa ordinaria di Storia all’Università. Per continuare a sperimentare e mettermi in gioco".