DANIELE MANNOCCHI
Cronaca

Valentina Luporini, su il sipario: "A 30 anni ho vinto la timidezza. Ora porto in scena papà Sandro ma senza ancorarlo al passato"

Ad agosto la figlia del grande pittore e paroliere sarà protagonista di uno spettacolo su Gaber. Prima il dottorato in filosofia, poi l’incontro col teatro e il lavoro artistico sui due mostri sacri.

Valentina Luporini, su il sipario: "A 30 anni ho vinto la timidezza. Ora porto in scena papà Sandro ma senza ancorarlo al passato"

Valentina Luporini, su il sipario: "A 30 anni ho vinto la timidezza. Ora porto in scena papà Sandro ma senza ancorarlo al passato"

I cinque sensi aiutano a leggere il mondo, ma pure ad aprire i cassetti della memoria. Sandro Luporini al mare non va più così spesso – "mi sono impigrito", confessò per i suoi 93 anni al nostro giornale – ma fuma ancora tanto: e l’odore sa di Gaber, dei due pacchetti (a testa) che svanivano in una nuvola grigia nelle giornate di lavoro. Il Signor G da una parte, il mare che sa di casa dall’altra: e un filo conduttore che prende forma nella figlia Valentina, che venerdì 9 agosto, alle 21.30, all’Hotel Club I Pini porterà in scena lo spettacolo Gaber sotto le stelle: repertorio di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, per la regia di Rose Marie Gatta.

Luporini, come nasce questo suo percorso artistico?

"Sono cresciuta nell’arte. Non solo quella di Sandro e Giorgio, ma per una ragione ’oscura’: gli affetti principali che ho avuto nella vita hanno tutti una personalità artistica. Ne ho sempre respirato l’atmosfera: in questo contesto, credo sia più facile, probabilisticamente, che emerga qualcosa".

Il debutto a teatro?

"Ho iniziato tardi, a 30 anni, perché sono una timida. Soffro di una timidezza quasi invalidante. Per tanto tempo mi sono portata dentro l’idea di sbloccarmi. Riflettendo, mi è venuto in mente un running joke che facciamo con un collega italo-francese: prima di un grosso spettacolo, a Ginevra, lui stava dietro una quinta e io gli dissi angosciata: ’Guarda che ti vedono!’. Ecco, ora quel ’ti vedono’ ce lo ripetiamo sempre, ed è una cosa interessante: in scena, non hai alcuna forma di protezione, ’ti vedono’, non hai altro scudo che non sia la tua fiducia. Inoltre, col teatro ho iniziato tardi perché ho fatto altre scelte di vita".

Di che tipo?

"Mi sono laureata in filosofia a Bruxelles e ho conseguito un dottorato di ricerca studiando tra la Normale e l’università di Ginevra, con una tesi sulla teoria dei sistemi impuri. Poi è arrivato il teatro, nella sua forma liberatoria. In Svizzera ho conosciuto delle persone, abbiamo creato la compagnia Collectif Humagine! con cui stiamo lavorando a una serie di progetti".

In questi primi anni da attrice, cosa ha portato in scena?

"Abbiamo uno spettacolo che sta andando alla grande, Sifi e la disputa, con Giosuè Libois e la regia di Rose Marie Gatta: è una clownerie musicale in cui la disputa tra i due personaggi viene risolta dal pubblico in modo interattivo. Poi c’è Basilico & altri rimedi, con Cristiano Arsì, uno spettacolo immanente che esplora i meccanismi interni a una storia d’amore, che forse porteremo a Camaiore. Infine, Balena 52 Hertz, che tratta il tema della neurodivergenza e dell’autismo in particolare, in cui vado in scena con Cédric Schaerer".

Cosa significa, per lei, lavorare sul repertorio Gaber-Luporini?

"Senza quel lavoro, io non solo non sarei la stessa, ma non sarei. Non so immaginarmi una vita senza tutto questo, il che è pericoloso: c’è qualcosa che lega inesorabilmente la mia esistenza a quella dei miei genitori e alla produzione artistica. Sandro è mio padre ma è pure l’artista con cui sono cresciuta. È un genitore ingombrante sia dal punto di vista emotivo, sia sotto il profilo artistico. In adolscenza ero affascinata, c’era un processo imitativo fortissimo. Cosa che non mi rendeva pronta. Dieci anni fa me ne sono andata dall’Italia e questo distacco è stato salvifico. Attenzione: non è un distacco emotivo, io e Sandro siamo molto legati. Ma è chiaro che un processo di costruzione è possibile soltanto con un distacco. E allora sì, questo repertorio a cui sono legata in modo viscerale è diventato fattibile per me. Sono cresciuta: ora posso tornare alle origini. Anche se un margine di paura ci sarà sempre. È come prima di un tuffo: anche se sai che non ti farai niente, devi superare un momento di esitazione".

Suo padre è stato un innovatore geniale. Come descriverebbe la sua intelligenza?

"Ha tante sfaccettature. La prima è la ricerca della verità. Non è una postura morale, è una tensione costante e coinvolgente. La seconda è l’intuizione: a volte, si ha l’impressione che non stia neppure ascoltando, eppure riesce a tirar fuori una frase da cui ti rendi conto che ha capito tutto con una profondità incredibile. Non ha un’intelligenza metodica, ’da studente’. E poi c’è l’ironia, la battuta che ti permette di ridere su tutto, senza mai mancare di rispetto".

Lo spettacolo del 9 agosto come sarà strutturato?

"Sarà un’esibizione di 45 minuti, con tre monologhi e quattro canzoni. La parte musicale è stata rielaborata con l’aiuto di Noè Tavelli. La particolarità è che ci saranno diversi stili musicali: il cantautorato italiano con la chitarra affiancato da stili e strumenti di altri Paesi, dal Nord Africa al Brasile, fino alla musica elettronica. Questa era una cosa che volevo assolutamente, il mio modo per far dialogare il passato e il presente. In questo, io sono come Sandro: detesto il passato polveroso e ho maturato un’allergia ai classici, anche quando li trovo bellissimi. Nella canzone Se ci fosse un uomo di Gaber, si dice Popolato da chi ignora il passato e il futuro e che inizia la sua storia dal punto zero".